Danni dalla mancanza d’acqua: GUERRE
L’acqua
è una delle risorse naturali distribuite con la maggior disparità sul
nostro pianeta. Si pensi che il 60% delle fonti è localizzato in soli 9
paesi (tra cui Stati Uniti, Russia, Canada, Brasile e Indonesia);
mentre altri 80 paesi (che raggruppano il 40% della popolazione
mondiale) subiscono una situazione di grave penuria idrica. Si stima
circa in 10.000 il numero di persone che ogni giorno muore per malattie
legate alla mancanza d’acqua oppure all’utilizzo di acque inquinate.
Ciononostante la popolazione dei paesi ricchi (circa l’11%
dell’umanità) possiede l’84% della ricchezza e consuma l’88% del
consumo mondiale (acqua compresa). Queste disparità sono ancora più
evidenti a livello locale e dato che l’acqua è un bene indispensabile
può diventare fonte di tensioni: tensioni interne agli stati o molto
peggio conflitti fra stati stessi.
I conflitti all’interno degli stati esistono dappertutto, al Nord come
al Sud, nei paesi del Terzo Mondo come nei paesi più ricchi e
sviluppati, ma non tutti conducono a esiti violenti. Ciò che manca in
molti paesi per una corretta gestione idrica che scansi ogni problema è
una “legge nazionale dell’acqua” ispirata a principi di solidarietà e
sostenibilità per cui non ci sia una parte che prevalga sulle altre ma
un accordo fra di loro. Un buon esempio di questa politica sono i
“contratti di fiume”: degli accordi tra tutte le parti interessate
(popolazione residente, industrie, autorità pubbliche, imprese di
turismo, associazioni diverse…) per una gestione coordinata, solidale e
durevole del fiume. Il vantaggio essenziale di questo contratto è che
si evita il primato di una parte rispetto alle altre. Grazie a una
politica di questo tipo si è riusciti a mettere d’accordo Colorado
inferiore, Arizona e Nevada che da anni erano contrapposti alla
California per i suoi eccessivi prelievi dal lago Owen e dal fiume
Colorado. Solo dopo alcuni la California ha riconosciuto la sua
responsabilità in questi eventi, e tuttora si è passati a una gestione
coordinata e integrata. Ma non ovunque è così ad esempio in Bolivia il
dibattito nazionale sull’acqua è diventato molto animato. A seguito
della cessione delle risorse idriche da parte del governo Boliviano a
un’impresa privata è aumentato considerevolmente il prezzo dell’acqua
per cui la popolazione di Cochabamba è insorta scontrandosi con la
polizia. Risultato: la difesa del loro diritto d’acqua è costato agli
abitanti cinque morti!
Se già sono gravi i conflitti interni agli stati quelli fra stati sono
ancora più gravi dei precedenti per le forme che possono assumere (fino
al conflitto militare). Si contano attualmente, nel modo, circa 50
“guerre” tra stati per cause legate alla proprietà, alla spartizione e
all’uso dell’acqua. La seguente tabella precisa l’oggetto del conflitto
solamente per una ventina di casi, attualmente i più importanti.

La
maggior parte delle analisi sulle “guerre d’acqua” cita come cause
principali i crescenti bisogni e le situazioni di penuria o di offerta
limitata. È logico che più le risorse idriche di un bacino acquifero
diminuiranno più gli abitanti dei paesi appartenenti allo stesso
cercheranno di appropriarsi delle fonti migliori. Questa è una visione
che, nonostante la sua apparente verità non offre un reale quadro sulle
cause.
Altre analisi,invece, mettono in evidenza l’importanza dia altri fattori legati a:
-rivalità etniche, razzismo, xenofobia;
-nazionalismi di tutti i generi;
-lotte per l’egemonia regionale politica, economica o culturale.
Nel caso del conflitto legato al bacino del Giordano, è chiaro che la
"guerra dell'acqua" è la conseguenza e non la causa della guerra tra
gli stati arabi (Siria, Giordania, Territori palestinesi, Libano) e
Israele che dura ormai da circa cinquant'anni. Al di là delle cause
storiche legate all'opposizione religiosa tra ebrei e musulmani (per
non menzionare altre comunità confessionali), la guerra trova la sua
origine nel fatto che le potenze vittoriose della Seconda guerra
mondiale hanno dato soddisfazione a una rivendicazione legittima del
popolo ebreo (la creazione dello stato di Israele) senza però dare la
stessa soddisfazione alle rivendicazioni, altrettanto legittime, dei
popoli arabi e soprattutto del popolo palestinese. Da allora, l'acqua è
un fattore che fa accendere focolai di guerra o riattizzare il
conflitto, come nel caso della Guerra dei sei giorni (giugno 1967), in
cui l'occasione "immediata" fu il tentativo di deviazione delle acque
del Giordano da parte degli stati arabi in risposta alla costruzione,
da parte di Israele, della "via d'acqua nazionale", prima azione di
dirottamento delle acque del bacino. Eppure, gli stati in questione
avevano firmato nel 1964 un piano di ripartizione delle acque del
Giordano e dei suoi affluenti. Il fatto è che la guerra
arabo-israeliana oltrepassa le questioni dell'acqua; come sostiene uno
specialista in materia , l'acqua è solo un "aspetto della disputa
multidimensionale tra gli stati arabi e Israele".
La soluzione ai problemi dell'acqua nella regione, non si trova nell'
acqua, ma nella volontà politica dei dirigenti dei popoli "in guerra",
di mettere fine alla loro disputa pluridecennale, riconoscendosi
reciprocamente il diritto all'esistenza, alla vita e allo sviluppo.
Certo, le azioni di pacificazione che prendono spunto a partire
dell'acqua restano importanti perché contribuiscono ad alimentare un
clima di rispetto reciproco e di cooperazione che può favorire i
processi di risoluzione del conflitto generale.
È alla luce del conflitto sul bacino del Giordano che devono essere
interpretate le ragioni che condussero, già nel 1974, Boutros Boutros
Ghali, egiziano e segretario generale delle Nazioni Unite fino al 1996,
ad affermare che semmai dovesse scoppiare una Terza guerra mondiale,
questa sarà legata all'acqua. L’ipotesi sembra alquanto logica. In
realtà si tratta di un'esagerazione mistificante perché alimenta l'idea
che l'acqua diventerà necessariamente rara e, quindi, causa di
conflitti che i popoli saranno incapaci di risolvere pacificamente.
Le stesse considerazioni valgono per il conflitto che avvelena, da
anni, le relazioni tra Turchia, Iraq, Siria e Iran, per quanto riguarda
i bacini del Tigri e dell'Eufrate. Il conflitto ha cominciato a
diventare importante negli anni Sessanta, quando la Turchia - paese a
monte dei due bacini e nel quale ha origine il 90% delle acque
dell'Eufrate - e la Siria manifestarono l'intenzione di costruire
numerosi impianti (tredici da parte della Turchia) per l'irrigazione e
per la produzione idroelettrica.
Ciò avrebbe considerevolmente modificato l'economia della regione e,
quindi, la posizione di ciascun paese. La tensione salì a livelli molto
alti nel 1974, quando l'Iraq minacciò di bombardare la diga di Tabga in
Siria e concentrò le sue truppe lungo la frontiera. Le minacce furono
ripetute nella primavera del 1975. Nel 1987, la Turchia propose agli
altri paesi la costruzione di un "acquedotto della pace". Al di là del
suo costo elevato, i paesi arabi respinsero la proposta, temendo - e lo
temono ancora oggi - che accettando il progetto, avrebbero dato alla
Turchia il potere di controllo sulle acque della regione, cosa per loro
inaccettabile. Le tensioni riapparvero nel 1990, in seguito al
completamento della costruzione della diga Ataturk sull'Eufrate, che ha
dato alla Turchia un importante potere sul flusso del fiume e gli
permette di utilizzare la minaccia di ridurre il flusso d'acqua verso i
paesi a valle, allo scopo - tra l'altro - di convincere la Siria a
ritirare il suo appoggio alle popolazioni curde in lotta armata per la
propria indipendenza nel sudest della Turchia. Attualmente, e malgrado
qualche piccolo progresso, la regione resta in stato di conflitto
latente, anche perché la Turchia ha rifiutato di firmare le due
convenzioni internazionali che, dopo enormi e lunghi sforzi, hanno
visto la luce: la Convenzione sull'utilizzo dei corsi d'acqua
internazionali per fini diversi dalla navigazione e la Convenzione
sulla protezione e l'utilizzo dei corsi d'acqua e dei laghi
internazionali.
I conflitti tra Iraq e Iran (si ricorderà la guerra del 1980-84 per il
controllo del fiume Shatt-EI-Arab), Iraq e Siria, Turchia e Iran,
Turchia e Iraq, Turchia e Siria non avranno termine fino a,che i
dirigenti di questi paesi non si "rassegneranno" ad abbandonare ogni
velleità di potenza. Questa è, infatti, la radice dei conflitti: ogni
paese della regione crede ancora di poter conquistare l'egemonia
politica sull'intero territorio, o comunque crede sia suo diritto
impedire, a ogni costo, che gli altri paesi diventino troppo potenti.
Come ha ben sottolineato J. Sironneau, "il conflitto (tra Iraq e Iran)
per l'appropriazione dello Shatt-EI-Arab, riflette la lotta perseguita
da ciascun paese per la supremazia regionale".
La “piccola guerra” che, nel 1995, scoppiò tra Ecuador e Perù, a
proposito delle sorgenti del fiume Cenepa, e che provocò la morte di
parecchie persone, non è stata provocata da problemi inerenti
all’acqua, ma al desiderio di controllo di una zona molto ricca di
minerali e la cui configurazione varia in funzione delle linee di
demarcazione della proprietà delle sorgenti del Cenepa.
Come si vede dalla tabella precedente gli esempi di conflitti tra stati
si potrebbero moltiplicare ma c’è una logica di fondo che accomuna
tutti: è quella degli interessi politici, militari, sociali, economici,
religiosi ed etnici che alimentano i conflitti per la supremazia e l’
appropriazione esclusiva delle risorse. Se la situazione può già
sembrare grave le prospettive per il futuro (seguendo l’attuale
andamento) non sono delle più rosee; difatti si prevede per il 2025 una
popolazione di 8 miliardi di persone, di cui ben 3 miliardi saranno in
situazione di grave crisi idrica. Ciò potrebbe portare a un’
inasprimento e a un’ aumento degli attuali conflitti. L’ unica
alternativa possibile è quella di cominciare a vedere l’ acqua come
“patrimonio dell’ umanità” e di conseguenza da gestire assieme e con
logiche solidali e di cooperazionee lontane da qualsiasi speculazione o
interesse economico.
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